Il testo completo delle «Regole standard per il raggiungimento delle pari opportunità per le persone con disabilità» è disponibile al link che segue:

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Il percorso verso le «Regole Standard» delle Nazioni Unite

Il principale strumento internazionale per tutelare i diritti delle persone con disabilità è la «Dichiarazione universale dei diritti umani», anche se, solo negli ultimi trent’anni, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) si è occupata in maniera sistematica del problema della disabilità.

Le prime due iniziative dell’ONU nei confronti della disabilità risalgono al 20 dicembre 1971 e al 9 dicembre 1975: nella prima data viene redatta la «Dichiarazione sui diritti delle persone mentalmente ritardate», che è un documento molto generale in cui si sottolinea la necessità di intervenire in favore delle persone con disabilità mentale; nella la seconda, viene approvata la «Dichiarazione sui diritti delle persone disabili» che, però, non ha avuto seguito.

Nel 1981, l’ONU istituisce l’Anno Internazionale delle Persone con Disabilità: ciò determina una nuova crescita di sensibilità e di attenzione, che vede sorgere associazioni ed istituzioni a favore delle persone con disabilità.

Sul finire del 1981, cresce la consapevolezza che non poteva bastare un anno per affrontare tutti i problemi che quotidianamente si ponevano di fronte alle persone con disabilità. Ciò induce l’ONU a dedicare un’intera decade alle persone con disabilità: il decennio 1982-1991 è riuscito a stravolgere positivamente i pregiudizi sulla disabilità e a proporre diverse iniziative all’interno delle stesse Nazioni Unite, come anche molte azioni ed interventi a carattere nazionale e locale.


Le «Regole Standard per il Raggiungimento delle pari opportunità per le persone con disabilità»

Nel dicembre 1993, lo stimolo dato dai vari movimenti delle persone con disabilità (che conteneva anche considerazioni sulla condizione di mancanza di pari opportunità che le stesse persone con disabilità vivevano) ha portato all’approvazione delle «Regole standard per il raggiungimento delle pari opportunità per le persone con disabilità». Questo strumento costituisce le linee guida di base per le azioni dei governi, che possono essere utilizzate per il monitoraggio delle politiche indirizzate alle persone con disabilità.

Le «Regole standard» presentano direttive di cambiamento sociale che dovrebbero permettere a tutti i cittadini con disabilità di partecipare, in maniera egualitaria, alla vita della società. Affrontano, infatti, in modo analitico tutti gli ambiti che sono legati all’inclusione sociale delle persone con disabilità. Di seguito, sono elencati i presupposti teorici, gli ambiti peculiari di intervento e le concrete misure di attuazione:

I. Presupposti teorici:

crescita di consapevolezza sui problemi inerenti la disabilità;
assistenza medica;
riabilitazione;
servizi di sostegno.

II. Ambiti peculiari di intervento:

accessibilità;
educazione;
occupazione;
mantenimento, sovvenzioni e reddito;
vita familiare ed integrità della persona;
attività culturali;
sport e tempo libero;
religione e spiritualità.

III. Concrete misure di attuazione:

informazione e ricerca;
politica decisionale e pianificazione;
legislazione;
politiche economiche;
coordinamento del lavoro;
organizzazioni di persone con disabilità;
formazione del personale;
attività di controllo nazionale e di valutazione dei programmi sulla disabilità nella fase di attuazione delle «Regole standard».

Il 20 dicembre 1996, il Consiglio dei Ministri dell’Unione europea ha approvato una risoluzione sulle pari opportunità per le persone con disabilità, che ha posto le «Regole standard» alla base di tutte le azioni, i programmi e le direttive europee future.

Il valore culturale di questo provvedimento è stato molto rilevante, perché, da un lato, ha fatto emergere che la condizione delle persone con disabilità non è una condizione di compromissione della salute, ma di discriminazione e di mancanza di accesso alla vita sociale a causa delle barriere, ostacoli e pregiudizi che la società frappone tra sé e le stesse persone con disabilità; dall’altro lato, ha significato trasformare quella visione negativa che pratiche di segregazione e d’esclusione hanno prodotto in secoli di soluzioni separate e medicalizzanti.

Le «Regole standard», quindi, hanno rappresentato lo strumento che ha dato un input decisivo all’inclusione delle persone con disabilità in tutte le politiche che le riguardano.

Le «Regole standard», inoltre, sanciscono il passaggio da una prospettiva medica della disabilità (che non riguarda solo la medicina in quanto tale, ma che coinvolge soprattutto le istituzioni), incentrata sulla malattia, sull’incapacità, la cura e l’assistenza, ad una prospettiva sociale, basata, invece, sulla cittadinanza piena, la tutela dei diritti e sugli strumenti per sostenere un adeguamento di opportunità e di inserimento sociale.

Le «Regole standard» hanno iniziato ad influenzare i singoli governi – tenuti, ogni cinque anni, a presentare dei rapporti sullo stato di attuazione delle stesse – ed hanno fatto crescere ulteriormente la consapevolezza della necessità della realizzazione di una Convenzione internazionale che tuteli i diritti delle persone con disabilità.


Il livello di attuazione delle Regole Standard in Italia

Le «Regole Standard delle Nazioni Unite per l’eguaglianza di opportunità delle persone con disabilità», purtroppo, sono ancora poco conosciute e la loro diffusione nei vari Stati membri dell’ONU è assai limitata anche a causa della scarsa informazione offerta dai mass media e dagli organi governativi: l’assenza dei nostri Governi in questo campo, ad esempio, è totale.

Per comprendere la gravità del ritardo del nostro Paese nell’applicazione e nel rispetto delle «Regole standard», è necessario partire da una premessa generale: in Italia non esistono leggi antidiscriminatorie (come negli Stati Uniti, ad esempio), ma solo alcune indicazioni generali all’interno della Costituzione, che, peraltro, non sono così chiare come in altre realtà europee (ad esempio, Germania e Portogallo).

La riduzione della spesa sociale negli ultimi anni, inoltre, ha prodotto un peggioramento della condizione delle persone con disabilità.

Di seguito, si riportano alcune politiche nazionali degli ultimi anni in materia di politiche di servizi e di accessibilità, confrontate con quanto prescritto, invece, dalle «Regole standard».

Attenzione: tra parentesi vengono riportate le regole che trattano l’argomento in questione con un link esterno di collegamento al testo de «Le Regole Standard».


Politiche di servizi

Finché le spese di interventi per i cittadini con disabilità saranno reperite dal surplus che avanza nel bilancio dello Stato, la discriminazione aumenterà («Regola 14»). Le persone con disabilità domandano di beneficiare della quota parte delle spese ordinarie che essi rappresentano in tutti i settori. Non esiste ancora una politica chiara sulla materia, né alcuno strumento per valutare il grado di integrazione delle persone con disabilità nella società («Regola 20»).

Le recenti politiche nazionali, infatti, non sono correttamente indirizzate: la Legge n. 162 del 21 maggio 1998, «Modifiche alla Legge 5 febbraio 1992, n. 104, concernenti misure di sostegno in favore di persone con handicap grave», ad esempio, rappresenta solo un breve passo in avanti verso la direzione auspicata.

Negli ultimi anni, inoltre, c’è stata una riduzione dell’assistenza medica («Regola 2») e degli ausili («Regola 4»); in svariate regioni, la riabilitazione è ridotta ad un’azione medica e si sta andando verso una riduzione delle prestazioni («Regola 3»). La citata L. 162/1998 è intervenuta, per la prima volta, per sostenere la vita indipendente, ma è ancora inadeguata la dotazione finanziaria, mentre i servizi di aiuto personale o d’interpretariato sono operanti solo in alcuni comuni, e sempre inferiori ai bisogni essenziali.

Le persone con disabilità, inoltre, sono valutate solo sulla base di parametri esclusivamente sanitari: una commissione medica dà una valutazione d’invalidità, meramente in valori percentuali. Il numero, secondo la legge, dovrebbe esprimere il livello di incapacità della persona con disabilità, ed in più, oltre ad essere uno stigma negativo, porta al paradosso di riconoscere persone invalide al 100%, che, tuttavia, lavorano al 100% delle proprie capacità.


Politiche sull’accessibilità

Molte leggi sono intervenute a tutelare il diritto alla mobilità delle persone con disabilità («Regola 5a»): sia leggi sulla rimozione delle barriere architettoniche, sia misure per finanziare i progetti di accessibilità in edifici pubblici e privati.

Assai spesso, però, le leggi non sono applicate né dai tecnici, né dai politici, al punto che la Legge n. 104 del 5 febbraio 1992, «Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», ha dovuto introdurre pesanti sanzioni per i trasgressori.

Troppi edifici pubblici e negozi, nonostante tutto, continuano ad essere inaccessibili, producendo forme di discriminazione e violazione dei diritti umani (si pensi, solo per fare un esempio, alla fruizione di diritti politici e religiosi).

I servizi di trasporto pubblico (per non parlare di quelli privati) raramente offrono la possibilità di viaggiare alle medesime condizioni degli altri cittadini, essendo anch’essi, per lo più, inaccessibili.

Solo le Ferrovie offrono la possibilità di usufruire di un servizio di accompagnamento ai treni inaccessibili, purché il servizio sia prenotato dalla persona con disabilità con almeno 24 ore di anticipo (al contrario di quanto avviene in molti paesi europei). Il servizio, tuttavia, non è pensato sui bisogni delle persone con disabilità e non ha un regolamento di tutela dei passeggeri, causando ancora diverse limitazioni al diritto alla mobilità e all’autodeterminazione degli utenti.

Allo stesso modo, sebbene vi siano leggi che intervengono sul problema dell’accessibilità alla comunicazione ed all’informazione («Regola 5b»), le misure adottate (programmi sottotitolati, telefoni speciali, interprete dei segni, software di sintesi vocali, ecc.) sono totalmente inadeguate.

Scarse sono anche le strutture sportive accessibili alle persone con disabilità («Regola 11»).

Infine, anche l’accesso alle strutture culturali, e di tempo libero (strutture turistiche, spiagge, ecc.) è, troppo spesso, piuttosto problematico, sebbene le leggi ne prescrivano l’accessibilità («Regola 10»).


Normativa di riferimento

Legge n. 162 del 21 maggio 1998, «Modifiche alla Legge 5 febbraio 1992, n. 104, concernenti misure di sostegno in favore di persone con handicap grave».

Legge n. 104 del 5 febbraio 1992, «Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate».

Testo completo delle «Regole Standard delle Nazioni Unite per l’eguaglianza di opportunità delle persone con disabilità».

Attenzione: si precisa che, nel testo riportato, la dizione originale inglese «persons with disabilities» è stata tradotta con «persone handicappate». Il movimento delle persone con disabilità italiane ha già da tempo adottato la dizione «persone con disabilità» come quella che, meglio di ogni altra, rispetta la dignità della persona che, possedendo un’alterazione dei livelli funzionali o strutturali del proprio corpo, interagendo con un ambiente ostile e/o indifferente, vive una perdita o una limitazione dei propri livelli di attività e di partecipazione ai contesti di vita e, quindi, una discriminazione fondata sulle condizioni di salute. Tale discriminazione prende il nome di «disabilità».